VICENDA E FONTI

VICENDA E FONTI

LE DUE STREGHE DI ROCCHETTA DI VARA

Nel 2015 vengono ritrovati, da Riccardo Barotti nell’Archivio storico diocesano di Sarzana, dei documenti prima sottoposti a studio o analisi. Questi documenti raccontano di un presunto processo di stregoneria avvenuto nella metà del XVII secolo nel comune di Rocchetta di Vara.

Si tratta di 4 tipologie distinte di documentazione:

  • la denuncia del 1638 con una prima interrogazione dei testimoni
  • la visita pastorale del 1640
  • l’obbligo per la popolazione di Rocchetta di Vara di testimoniare in merito alla denuncia (1640)
  • l’elenco delle testimonianze (1640)

Rocchetta di Vara è un piccolo centro contadino della Liguria di levante, in particolare nell’alta val di Vara, alla confluenza del torrente Cassarola nel Gravegnola, quest’ultimo affluente di sinistra del Vara. Il territorio attualmente fa parte del Parco naturale regionale di Montemarcello-Magra, nonché della regione storica nota come Lunigiana, oltre che della attuale provincia amministrativa della Spezia.

La natura del terreno rende il centro soggetto a smottamenti e allagamenti. Anche recentemente, nel 2011, a causa della forte pioggia, il borgo è stato afflitto da un’alluvione, causando tredici morti e diversi danni. Non sembra quindi del tutto assurdo che anche nel XVII sec. sia capitata una cosa simile anche se di minore portata. Dare la colpa delle catastrofi naturali a delle forze maligne era l’unico modo conosciuto dalla popolazione per far fronte a questi problemi. Uccisa la strega o lo stregone ogni male veniva curato.

Se è vero che dalla seconda metà del XVI secolo in poi la Chiesa assunse un atteggiamento più cauto e mite nei confronti delle presunte streghe, di contro il popolo spesso continuò a chiedere a gran voce la condanna e l’esecuzione delle donne accusate di stregoneria. La sola presenza delle streghe provocava tensione e le magistrature non potevano ignorarlo.

Nel 1638 a Rocchetta di Vara viene esposta una denuncia al vicario. Una donna, Maria, detta la Cassanella, pare faccia come professione l’incantatrice, lei guarisce i figli “guasti dalle streghe”. In particolare ha incantato la figlia di Michele Bottarino e Simonino di Lucca. In seguito a questa denuncia vi è una primo interrogatorio dei testimoni. Dalle prime testimonianze già si capisce che la Cassanella è guaritrice conosciuta e accettata dalla comunità già da tempo. La Cassanella afferma di aver imparato questa pratica per sentito dire da una vecchia di Cassana, un piccolo paese vicino. Afferma di non voler fare del male a nessuno, si pente e chiede il perdono.

Dopo due anni il vescovo si reca a Rocchetta per una visita scatenata proprio da queste voci sulla stregoneria. Egli invita tutta la popolazione a testimoniare. Le nuove testimonianze hanno un tono più negativo e accusatorio delle precedenti e portano alla luce un secondo nome, quello di Giacomina. Le due donne cercano di guarire le persone “guaste” prima scoprendo l’esistenza del maleficio (gettando del grano in un vaso pieno di acqua e osservandone il comportamento) e poi purificando la persona e l’ambiente spargendo quella stessa acqua per la casa e recitando preghiere cristiane.

Ora, come ben fa notare Silvia Martini in Gostanza, la strega di San Miniato. Processo a una guaritrice nella Toscana medicea, ad un certo punto le competenze del tribunale laico e quello religioso si sovrapponevano. Quando l’imputata era accusata di eresia doveva essere giudicata dall’Inquisizione, quando vi era reato di omicidio il caso passava al tribunale laico. Immaginiamo il caos nel momento in cui l’imputato era sia accusato di eresia che di omicidio perché nella prima accusa era implicata anche la seconda.

Nel caso di Gostanza, San Miniato si trovava al tempo nella precaria posizione “a incastro” tra la dipendenza politica e inquisitoriale fiorentina e quella vescovile di Lucca. Gli inquisitori, comunque sia, cercavano di arginare i sospetti e non di alimentarli. Dovevano essere state molte le denuncie per malìe e pratiche sospette, ma nei confronti di una stregoneria accertata, la repressione è profonda, rigida, Ancor più attenta era la ricerca delle prove nel caso di un delitto

Nel processo alle streghe di Rocchetta di Vara il fulcro è costituito da rituali di guarigione operati da due donne, la Cassanella e la Giacomina.  I pazienti si ammalano  oppure molto più facilmente non guariscono anche dopo il rito ed ecco che scatta l’accusa di stregoneria. Come spiega Marilena Lombardi, la malattia è una conseguenza logica del peccato contro Dio, come citano le sacre Scritture. La malattia è un mezzo attraverso il quale agisce la misericordia di Dio per riportare il fedele sulla giusta via. Quindi le cure, le erbe, i medicamente, è stato Dio stesso a crearli. Le piante rivestono quindi un ruolo primario nella medicina terapeutica popolare. Stando alla <teoria della segnatura> un’analogia tra una pianta e l’organo del corpo umano o la somiglianza nel colore (e altro di simile) basta per capire quale specifica erba usare per uno specifico malessere. Questo mestiere (rizotomista) è tramandato di generazione in generazione per via femminile. In Gostanza, la strega di San Miniato leggiamo:

Questo è di fondamentale importanza in un contesto sociale costituito da lavoratori manuali, ai quali la società richiede soltanto prestazioni di forza muscolare […] la figura della guaritrice acquisisce un ruolo <eroico>, perché capace di vincere la malattia incombente sulla collettività. Allora <chi possiede l’arte della salute è automaticamente rivestito di potenza; sia esso erborista, guaritore, mago, terapeuta psicoanalitico, egli agli occhi di chi è bisognoso assume una qualche forma arcana di potere che ha indubbie sfumature di magismo. Colui che cura può nientemeno che contrapporsi alle forze distruttive e all’oscuro potere del male che si manifesta nella fascinazione, nelle fatture e nel malocchio>.

UNO SGUARDO ALLA VICENDA ATTRAVERSO LE FONTI

Giacomina e la Cassanella erano due donne esperte guaritrici. Una delle testimonianze, trattasi di un certo Stefano, parlando dei metodi della Giacomina riferisce:

io dico che havendo una figliuola piccola, d’età di mesi trenta, ch’era amalata e per sanarla mi fu riferito da molte persone che Giacomina, moglie d’Antonino Galanti, sapeva guarire queste creature, le quali erano state guaste da streghe e, sospettando che detta mia figlia, nomata Catharina, fusse stata guasta, fui necessitato chiamare detta Giacomina in casa mia accioché vedesse questa mia figliuola e che me la guarisse potendo, e così detta Giacomina vene in casa mia e visitò detta mia figlia e disse ch’era stata guasta e la liberò et essa Giacomina prese una tazza de terra piena d’acqua e da poi prese nuove grane di grano, quali pose in croce \\ in detta tazza d’acqua e detto grano, per quello vidi, fece gl’occhi come li pesci e, fatto questo, prese detto vaso con l’istessa aqua dove era il grano dentro, la sparte per li cantoni della casa, imponendo a quelli di casa che dicessimo il pater e l’ave Maria e questa cosa detta Giacomina la replicò più volte e così detta figliola restò libera

Notiamo in primo luogo che Giacomina si reca in casa di Stefano perché chiamata, e questo significa che il suo ruolo di guaritrice era noto ed accettato. In secondo luogo si deve riferire che la malattia di cui era affetta la figlia di Stefano, Caterina, non era dovuta – secondo il padre – a cause naturali ma magiche in quanto prodotta da streghe. In terzo luogo notiamo la peculiarità del metodo di guarigione.
Giacomina infatti va a casa di Stefano, prende una tazza piena di acqua, del grano e lo posa sul pelo dell’acqua a formare una croce e dopo un po’ il granofece gl’occhi come li pesci”. Il “fare gli occhi”, che probabilmente significava l’aver prodotto in prossimità del germe una bolla d’aria che faceva tornare a galla il singolo chicco, era prova dell’esistenza di malocchio e quindi richiedeva un rito apotropaico. Tale rito comportava che quella stessa acqua fosse sparsa attorno alla casa mentre recitava preghiere cristiane.

fu poi detta mia figliouola tornata ad esser guasta et essa Giacomina fece mi instanza che se volevo che detta mia figliuola guarisse, chiamassi la Cassanella, chiamata Maria, perch’essa era stata quella che haveva guasto la figliuola e lei sarebbe quella che la guarirebbe e così venne e la guarì e la quarta volta che s’amalò dette donne venero in casa mia ma non la guarirno, sebene se ne morse.

 

Alla fine la figlia guarì o almeno per un po’ perché dopo poco si ammalò di nuovo. La Giacomina per discolparsi della mancata guarigione incolpò la Cassanella di aver, con arti stregonesche, “guastato” la bambina. Alla fine nessuno riesce a bene operare e la bambina morì.
L’utilizzo del grano non è un caso. Nelle zone della valle di Suvero il grano è un alimento importante perché cresce nonostante l’ambiente montano non proprio favorevole all’agricoltura. Il clima di tipo continentale ma mitizzato dalla vicinanza col mare rende infatti l’ambiente della Val di Vara ancora oggi di tipo misto: con boschi, castagneti, buone aree di pascolo e ridotte ma buone aree coltivabili a fagioli e cereali. Famoso in particolare perché tipico è il Grano Bianco delle Valli del Suvero che viene prodotto esclusivamente nell’area che comprende il comune di Rocchetta di Vara e i comuni limitrofi. Ed è proprio il grano a costituire il principale elemento usato dalle presunte streghe  e ricorre, infatti, anche nelle altre testimonianze.

io dico che havendo una figlia, d’età quasi d’un anno poco più, amalata mi fu detto che se volevo ch’essa figlia guarisse, bisognava che si chiamasse questa Giacomina Galanta e così la chiamai e, veduto che hebbe detta mia figliola ch’era inferma, prese uno vaso de terra pieno de aqua, nel quale vi pose dentro nuove grane de grano e subito, visto detto grano, disse che detta mia figliola era guasta \\ e che non c’erano più sole due grane di grano che la guardassero e la figlia poi se ne morse e gettò aqua, la cacciò per casa.

Se durante alcuni periodi storici la donna esperta in erbe e cure mediche era ben integrata e riconosciuta dalla società popolare con la Controriforma professare l’arte medica non essendo un medico risulta invece molto rischioso. Magia e medicina erano infatti spesso fuse in un unico concetto di condanna, specie se a praticarla erano persone autorizzate dagli studi ed erano donne. La posizione della Controriforma è chiara con le Constitutiones posteriori al Concilio di Trento. A chi professa la medicina fuori dall’ambito Accademico sono previste sanzioni e multe.

I problemi che di solito venivano risolti invece da alcune donne all’interno di comunità isolate e marginali, spesso non raggiunte da medici autorizzati, riguardavano sterilità, impotenza, contraccezioni, malinconia o sintomi di follia. Queste donne erano viste come sagge ed essendo compaesane era possibile anche si instaurasse con loro un rapporto di fiducia. I problemi sorgevano, però, nel momento in cui le cure non funzionavano o quando si determinavano casi di mortalità diffusa, spesso infantile. Le loro conoscenze si rivolgevano contro di loro e venivano accusate di stregoneria dalle stesse persone che fino ad allora le avevano accolte come salvatrici. In quel momento risorgevano vecchi rancori, le donne diventavano il capro espiatorio per il male che affliggeva la comunità.

Nel processo di Rocchetta di Vara l’arte di guarire le persone “guaste” era in sé un circolo vizioso senza fine. Guarire una persona voleva dire  infatti, nella stessa mentalità delle presunte streghe, guastarne un’altra altrove. Il principio, che potrebbe richiamare quello di Antoine-Laurent de Lavoisier (nulla si crea e nulla si distrugge) o ancor meglio le filosofie/credenze olistiche, vedeva infatti nell’opera di guarigione una sottrazione di energia vitale da un’altra parte del mondo/comunità con indirizzamento di questa energia verso la persona malata.

così detta mia figlia guarì e doppo a uno mese seguì che fu di nuovo amalata e si fece il medesimo e tornò a guarire e poi ne disse che lei non \\ poteva guarire una persona che non ne guastasse un’altra persona, come seguì gli giorni passati che risanando la figlia di Stefano d’Olivia ne haveva guasto un’altra persona a Serò.

 

Le accuse fatte alle due donne erano quindi quelle di “guastare” bambini e gente innocente conducendoli, nel peggiore dei casi, alla morte. Al primo interrogatorio delle accusate era nominata solo la Cassanella. Successivamente alla visita del vescovo la gente denunciò anche la Giacomina, in quanto le due collaboravano. La prima accusa rivolta alla Cassanella fu quella di aver  incantato la figlia di Michele Bottarino e Simonino di Lucca. Al primo interrogatorio, nel 1638, Simonino de Lucca risponde:

per il passato l’ho sempre tenuta per donna da bene per quanto la cognosco. È vero che havendo io una figlia amallata tre mesi in circa chiamai e feci chiamare la suddetta Maria che venisse a vedere detta mia figlia amalata per remediare al suo male se però poteva e conosceva detto male, lei mi rispose non volerle venire ne meno le venne, del resto non so altro.
Interrogatus respondit: si dice che detta Maria guarisse figlioli guasti dalle streghe se sii poi vero io non lo so et hoc est.

 

Questo primo interrogatorio avvenne prima della visita pastorale e rivela il fatto che non è assolutamente condivisa dalla comunità la paura di convivere con elementi che praticavano la stregoneria. In realtà gli abitanti sembrano – leggendo queste prima testimonianze – lontani dal giudicare una donna che comunque aveva cercato di aiutareli con le sue conoscenze. Una certa Caterina ne parla in toni positivi:

signorsì che la conosco la detta Maria, moglie di Agostino di Benedetto, interrogata respondit per quanto la cognosco la tengo per dona da bene.
Interrogata respondit io ho sentito dire a Lucia de Zanini che haveva un figlio amallato, ma non so che infirmità se fusse, e che chiamò la sopradetta Maria che agiutasse detto figlio, se poteva, per guarirlo da quella infermità, ma non so che lei le habbi detto né fatto cosa alcuna per farlo guarire salvo che detta Lucia mi disse che mediante Dio e la Beata Vergine e detta Maria, detto suo figlio risanò.

 

Michele Bottarino invece afferma addirittura che nonostante la donna fosse stata accusata di aver incantato sua figlia, Maria (la Cassanella) non era nemmeno mai andata a casa sua:

Signore, la tengo per quella che è e la lascio come è.
Interrogatus respondit: no che detta Maria non è mai venuta in casa mia per medicare né curare miei figlioli amalti di quasivoglia infirmità né tanpoco l’ho ricercata né fata ricercare per talle effetto.
Interrogatus ut avertat respondit: signore io non so che detta Maria facia professione d’incanti per guarire figlioli amalati di qualsivoglia infermità né in casa mia non vi è mai venuta.
Interrogatus respondit: non so poiché sii andata a casa d’altri per tal effetto del resto non so altro.

 

La moglia del Simonini afferma di conoscerla. Maria è andata a casa sua e le ha guarito la figlia. Quando però si ammalò la seconda non volle fare altro, decidendo di non curarla:

signore, havendo altra volta una figlia amalata venne in casa mia la suddetta Maria quale, vedendo detta mia figlia amalata aviene et le face bere dell’acqua dove aveva messo del grano e poi il resto dell’aqua che haveva in un vaso lo getò per la casa e così detta mia figlia restò sana.
Interrogata respondit: detta Maria disse sopra detto grano il pater noster et Ave Maria e così, doppo che detta mia figlia hebbe bevuto detta aqua, stette meglio e questo tengo sii statto per grazia di Dio e della Beata Vergine.
Interrogata respondit: essendosi poi amalata una altra mia figlia da tre mesi fa, di nuovo chiamai detta Maria che venisse ad agiutarla se però cognosceva la sua infirmità, essa mi rispose non le voleva più venire dicendo io non le voglio più far’altro e così non le venne et hoc est.

 

Infine fu interrogata direttamente la Cassanella. La donna affermava di essere stata chiamata da Maddalena, la sorella di Michele Bottarino, per guarirne la figlia malata. Maria aveva sentito dire che pregando la Vergine Maria e Dio e mettendo il grano nell’acqua era possibile guarire una persona vittima della malia di un’altra strega. La donna spiegava inoltre che non sapeva di fare del male in quel modo, tutto il contrario. Giura e promette di fare ammenda e rimanda alla misericordia di Dio:

signor sì che sono statta chiamata da mia comare Madalena sorella di Michele Bottarino per occasione che haveva una figlia amalata che se io poteva che l’agiutasse et io havendo sentito dire per molti tempi, molti anni sono, ad una vecchia di Cassana che quando i figlioli erano amalati, cioè incapati, che chi metteva del grano nell’aqua e poi diceva in nome di Dio e della Vergine Maria e della Santa Trinità ti ritorna in sanità e così io havendo sentito dette parole il simile fece io ad una figlia del suddetto Michele Bottarino.
Interrogata respondit: signor no che mai più ho voluto fare dette cose, essendo statta di ciò ripresa dal mio padre spirituale et io cognosendo dopo l’amonizione di far male non ho mai più voluta far altro di queste cose et così adesso con giuramento prometto a Vostra Signoria (tactis) et a Dio benedetto di mai più fare né ordinar tal cose e del fatto me ne pento e dimando a Dio misericordia et anche a Vostra Signoria dimando misericordia e perdonanza se in ciò havesse errato. Et ita.

 

Se in parte queste risposte della Cassanella possono essere state dettate da legittima paura, possiamo comunque notare che molto probabilmente la Cassanella credeva in buona fede di agire secondo una tradizione ancestrale e consolidata, quella appunto di riti magici legati alla terra ma sinteticamente pervasi dalla religiosità cristiana.

Passarono due anni (1640) e il vescovo di Brugnato si recò a Rocchetta. Le voci sulle stregonerie che si praticavano nella Valle erano infatti arrivate alle sue orecchie durante una visita pastorale, così decise di indagare più a fondo. Una volta sul posto diede disposizione a tutti i cittadini di riferire, obbligatoriamente, qualsiasi tipo di informazione per porre fine a queste pratiche. Gli abitanti hanno diciotto giorni a disposizione per recarsi a Brugnato davanti al Vicario Generale (Francesco Durazzo) per testimoniare. Pena, la scomunica.
E’ evidente che rispetto alla prima lista di testimonianze, scatenate probabilmente dalla denuncia di un singolo, il clima era cambiato. Non solo i testimoni cominciarono a parlare con maggiore negatività delle pratiche della Cassanella, ma fecero anche il nome di una seconda donna, la Giacomina.
Ecco la testimonianza di Maria, moglie di Andrea Zannini:

io dico che havendo una figliola quale mi guasta dalle streghe mi fu detto che chiamassi la Giacomina ch’essa la guarirebbe e così venne, prese una tazza al solito con aqua e grano dentro e ch’ero stato troppo a chiamarla e che non la poteva guarire e così morse e dett’aqua la cacciò nelli canti della casa con detto grano e poi mi vene male ad una mamella, tornai di nuovo a chiamare detta Giacomina ma non mi guarì. Di più io dico che ritrovandomi in casa d’Antonio Oliviero quale, haveva una figliola guasta, chiamò detta Giacomina quale fece la medesima suprastitione e disse che se non chiamavamo la Cassanella che non si poteva far niente e così la chiamorno e la guarì.

Tra le testimonianze già interessanti vi è quella di una donna, Pellegrina, la moglie di Antonio. Costei afferma che parlando con Giacomina in merito alle sue arti magiche, quella aveva affermato che per poter incantare bisognava rifiutare Dio e accettare il diavolo come unico Signore.E’ la prima volta che si fa nelle testimonianze esplicito riferimento al diavolo in connessione con riti di guarigione.

Pelegrina uxor Antonii Olive testis ut super eidem delato iuramento qui iuravit
Interrogata respondit: io dico che havendo una figliola guasta dalle streghe \\ mi fu che detto che chiamassi la Giacomina e così la chiamai per tre volte e fece l’istesso incanto con quella tazza piena d’aqua e quelle nuove grane di grano e così guarì sino alle tre volte e all’ultima mi disse che non la poteva guarire e così se ne morse. È vero che disse a un tempo, essendo detta Giacomina adiutarmi in giornata e parlando di queste cose di sua voluntate, essa Giacomina mi disse che chi voleva essercitare quest’arte bisognava refutare il signore Iddio e accetare il diavolo per suo Signore.

 

I documenti in nostro possesso si fermano alle testimonianze. Le persone interrogate chiamano le donne per far guarire i loro figli “guasti”. Giacomina e la Cassanella sono delle guaritrici. Capiscono se è stata fatta una fattura attraverso il grano messo nell’acqua, dopo di che pronunciano le preghiere per far sparire il maleficio. Non sappiamo cosa sia successo dopo questa indagine perché l’archivio capitolare di Sarzana, dove queste carte sono conservate, non pare presentare altra documentazione utile a capire se si sia mai veramente finalizzato il processo.

La faccenda potrebbe aver non avuto esito concreto. Sappiamo infatti che gli inquisitori, che dipendevano dalla Congregazione romana del Sant’Uffizio, a partire dal 1620 ebbero un comportamento più cauto e prudenziale. In quell’anno, infatti,  i tribunali provinciali dipendenti dal Sant’Uffizio ricevettero un testo, una Instructio, relativa ai processi per stregoneria, in cui si condannavano gli eccessi e gli abusi compiuti dai giudici .
Le testimonianze che abbiamo letto evidenziano tuttavia una cultura popolare in cui era ancora molto facile accettare l’esistenza di pratiche magiche e dove la Chiesa esercitava un forte controllo sui comportamenti dei singoli.

MALATTIA, MORTE E CARENZA MEDICA

Dalle testimonianze degli abitanti si apprende che le due donne operano solitamente le loro arti sui bambini malati. Nella funesta conta delle morti durante il Medioevo, una parte significativa è costituita dalla mortalità infantile. Secondo le statistiche della media italiana nel XVII secolo ( http://www.farcampus.unito.it/storia_economia/corso.aspx ) su 1000 nati da 150 a 350 infanti muoiono prima di compiere un anno di età, da 100 a 200 prima del decimo anno. Le cause sono risapute. La popolazione era, per la stragrande maggioranza, povera o poverissima. Le pratiche igienico-sanitarie erano scarse, dove non del tutto sconosciute. Le grandi pandemie mietevano, a ogni comparsa, da 1/3 a 1/4 della popolazione europea totale. Non è un caso se Giacomina e Cassanella, le “streghe” accusate, venivano solitamente chiamate per guarire i figli e le figlie dei compaesani, anche se di tanto in tanto poteva capitare qualche minore intervento sugli adulti (un malessere al petto, un dolore alla mano …)

Di di cosa si ammalavano i fanciulli? A parte il deperimento causato da denutrizione (che poteva essere puntuale causa di morte, come fattore di peggioramento di una malattia primaria) e le grandi epidemie del tempo, possiamo dedurre le malattie più comuni grazie al contributo del medico inglese G. Armstrong. Nella sua opera, Trattato sulle più fatali malattie dei bambini, egli indica come principali cause di morte nei fanciulli le convulsioni, le afte e le coliche.  Interessante notare come, nello stesso volume, l’autore sottolinei l’usanza dei genitori di chiamare in aiuto al figlio malato non un medico, bensì una fra le donne anziane con cui la famiglia ha rapporti (nutrici, balie, …)

“[…] pure la cura dei bambini, anche riguardo alla medicina è stata comunemente abbandonata alle donne vecchie, alle nutrici, ed alle mammane, così che è stato longa pezza un detto comune in questa città, che il miglior Dottore per un bambino era una donna vecchia.”

Non bisogna stupirsi! La medicina tradizionale indicava come causa di qualsivoglia malessere un disequilibrio nei liquidi del corpo. Per cui lo stesso Armstrong prescrive sempre o quasi sempre ripetute dosi di emetici per purgare il corpo da supposti umori in eccesso.

LE FONTI

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